Da liberazione.it
Berlusconi superstar a Washington. Il 9 aprile si vota pro o contro Bush
Non poteva sperare in un successo più grande Silvio Berlusconi nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti. E, proprio per questo, non poteva offrire un motivo più efficace e valido per batterlo alle elezioni del 9 e 10 aprile. Invitato da Bush, accompagnato da Cheney - forse guidato in questa operazione mediatica dall’eminenza grigia Karl Rove - il presidente del Consiglio ha ricevuto un’accoglienza calorosissima, un lunghissimo applauso iniziale, molte interruzioni di approvazione, strette di mano in chiaro stile americano, deputati che hanno chiesto la firma del Cavaliere sulla propria copia del discorso. L’avvenimento è stato abilmente trasmesso in diretta tv non solo dalle reti di informazione, come Rainews24 o TgSky, ma anche dall’ammiraglia di famiglia, Canale 5, con uno speciale del suo Tg, diretto dall’ultraberlusconiano Carlo Rossella. Tanto calore da parte di deputati e senatori statunitensi - visibile una Hilary Clinton sorridente - si spiega anche con l’elettorato di origine italiana che ogni candidato al Congresso ha bisogno di tenersi buono, ma certamente la coreografia ha segnato un punto importante nella campagna elettorale del Cavaliere. Berlusconi si è mostrato perfettamente a suo agio nella Camera dei rappresentanti Usa, ha risparmiato loro le barzellette ma non la storia del padre che lo portò a visitare i cimiteri dei soldati Usa morti per l’Italia a cui destinare sempiterna gratitudine e ha tenuto il discorso con toni per nulla imbarazzati dall’autorevolezza degli astanti. Per come lo conosciamo, non è da escludere che nella testa del premier abbia fatto capolino la tentazione di candidarsi prima o poi alle presidenziali Usa. Ma, battute a parte, va rifuggita l’idea di replicare al successo americano di Silvio Berlusconi con l’uso della satira o della ridicolizzazione dell’avversario. Il presidente del Consiglio ha tenuto un discorso tutto politico - per quanto elettoralistico - utilizzando gran parte dei toni che lo contraddistinguono ma senza rinunciare al tradizionale schema delle relazioni transatlantiche che ha caratterizzato tutta la politica estera italiana dal dopoguerra in poi. E non è un caso che il suo sia il quarto discorso, dopo quello di De Gasperi, Andreotti e Craxi, tenuti da un italiano al Congresso Usa. Berlusconi ha infatti sottolineato il grande contributo dato dagli Stati Uniti alla libertà e alla democrazia nel mondo, il loro attivo intervento in Italia per sconfiggere il nazismo ma anche per difendere l’Europa dalla “minaccia sovietica” (“sovietica”, e non “comunista”), la centralità della Nato come strumento di sicurezza rispetto al terrorismo, l’importanza di concepire un “unico occidente” e non un’Europa contrapposta agli Usa e viceversa. Un discorso di chiaro stampo atlantista, ossequioso fino alla morte e in cui non sono mancati due riferimenti “liberal”: uno, volto a contraddire il concetto di “scontro di civiltà” perché «non è l’Islam che ci minaccia ma un fondamentalismo religioso che usa il terrorismo»; e l’altro indirizzato allo sviluppo necessario per «gli oltre quattro miliardi di esseri umani che vivono in condizioni di povertà». Aiutarli, dice Berlusconi, non è solo un “dovere morale” dell’occidente ma anche un nostro «interesse vitale». Nel complesso un discorso da alleato solido e fedele com’era prevedibile. Ed è qui che sta il cuore del problema. Berlusconi si è manifestato nella forma più gradita agli Usa - da qui il gran numero di applausi e il calore dell’accoglienza - ha detto loro le cose che amano sentirsi dire. Si potrebbe dire che si è presentato come un “suddito” fedele, un alleato docile, lo ha pure rivendicato quando ha sottolineato la centralità nella sua politica estera dei legami transatlantici. Insomma, ha mostrato come il berlusconismo sia una variante, forse un po’ goffa ma autentica, non solo del bushismo e della filosofia che gli sta dietro: diffondere ovunque il modello americano, esportare i propri valori, conquistare il pianeta alle leggi del libero mercato. Lo ha rivendicato con orgoglio ed entusiasmo. Com’era prevedibile, il premier non ha fatto alcun cenno alla necessità di ritirare i soldati dall’Iraq, anzi ha elogiato la politica estera statunitense e la sua capacità di «suscitare un vento di libertà» - esportare la democrazia è diventato desueto e poco chic; ha poi sottolineato la centralità di una «Alleanza delle democrazie» a livello internazionale al quale intende lavorare con il presidente Bush (e forse e su questo piano che immagina il suo futuro politico in caso di sconfitta); ha poi esaltato il ruolo della Nato della quale si è mostrato sentito interprete avendoci portato dentro la Russia (ricordando con fierezza il vertice di Pratica di Mare del 2002, quello di Romolo e Remolo…). Ha ricordato i 40mila soldati italiani anch’essi impegnati nel mondo a «difendere la libertà». Insomma ha elencato con minuziosa solerzia tutti i punti di un programma politico liberista - con un riferimento accentuato alle virtù del libero mercato - e di una visione neocolonialista del mondo in cui l’occidente unito deve far valere i propri interessi, primo fra tutti quello alla sicurezza. Ha fatto il Berlusconi, che non è solo un televenditore suadente ma un leader con un progetto politico che intende cementare e consolidare anche in caso di sconfitta alle prossime elezioni. Per questo ha offerto il motivo forse più valido per batterlo alle prossime elezioni. Battere Berlusconi, cioè, per battere il berlusconismo come variante nostrana del bushismo e quindi della guerra e del liberismo. Battere il berlusconismo che, nell’ossessione del “bene” contro il “male” fomenta ideologismi pericolosi come il “manifesto della razza” di Pera. Quanti dei leader dell’Unione, in condizioni analoghe, farebbero un discorso molto diverso da quello sentito ieri a Washington? Non c’era solo l’Iraq in quel suo riferimento ai valori di democrazia e libertà, ma anche l’Afghanistan, i Balcani, il Kosovo, la politica in Medioriente. Quali toni davvero alternativi saprà usare l’Unione, quali accenti, quali linee guida, ad esempio sul ruolo della Nato? E’ questa la sfida che è stata lanciata ieri e che ci attende oltre il 9 e 10 aprile.
di Salvatore Cannavò (giovedì 2 marzo)
domenica, marzo 05, 2006
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